Scalfari su la Repubblica di oggi cita Papa Francesco: "Non tutte le discussioni dottrinali, morali e pastorali devono esser risolte con interventi del Magistero. In ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate perché le culture sono molto diverse tra loro, sicché perfino il modo di impostare e comprendere i problemi, al di là delle questioni dottrinali definite dal Magistero della Chiesa, non può essere globalizzato ... Le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere, ma non possono assolutamente abbracciare tutte le soluzioni particolari che non si risolvono a livello di una norma".
Francesco passa dalla critica alla "globalizzazione dell'indifferenza" alla critica alla "globalizzazione dell'"in-differenza"; e, qui, è un trattino a fare la differenza. Sottolineo due punti di riflessione:
- in primo luogo, la in-differenza è mancata considerazione-comprensione-valorizzazione-mediazione-liberazione delle infinite differenze che compongono il mosaico del progetto umano nel Creato. Praticare la in-differenza significa collocarsi fuori dalla realtà, in una sorta di irrealtà dominante, significa cercare di omologare, adottando un "pensiero unico". In sostanza, la in-differenza è l'evidenza dell'ottima salute di cui gode, ancora oggi nel mondo globalizzato, l'idea totalitaria;
- in secondo luogo, per superare la "non cultura" della in-differenza è necessario ritornare alla conoscenza e all'Amore delle e per le differenze. Sia la conoscenza che l'Amore si vivono ma, riguardo alla prima, sottolineo l'urgenza di un "pensiero complesso e contestuale" che non può che essere transdisciplinare. In particolare, una formazione soltanto finalizzata alla competizione globalizzata (ed esasperata) non ci aiuta a conoscere le realtà per comprenderle; per inculturare, come dice il Papa, dobbiamo ritrovare le profondità dell'antropologia e della filosofia, materie oggi considerate non strategiche e, invece, fondamentali.
La citazione ripresa da Scalfari coglie nel segno ed è fondamentale per riflettere insieme e per ritornare a condividere il senso della storia comune.
domenica 10 aprile 2016
sabato 9 aprile 2016
Incertezza è una bella parola (Marco Emanuele, Formiche)
Incertezza è una bella parola. Se ci ripensiamo incerti, infatti, ri-scopriamo il mistero della ricerca che è la tensione naturale dell'essere persone umane.
Ricercare è vivere, cercare sempre punti di sintesi, non limitandoci all'analisi. Tale processo, che troppo spesso "imprigioniamo" in ambiti particolari (la ricerca disciplinare), rappresenta l'agire complesso della persona, la ricerca dell'innovazione come ri-creazione di sé, come rottura delle certezze consolidate e come possibilità/potenzialità di abbracciare l'intera conoscenza in noi.
Siamo incerti e non possiamo fermarci a rincorrere l'eterno presente, come accade. Il male, infatti, non è la nostra incertezza ma la sua degenerazione che deriva dal nostro non accogliere la nostra stessa dinamicità, la nostra tensione all'oltre che già ci percorre. In quanto persone umane, siamo tempiterni e globali.
L'incertezza è parte fondamentale della condizione umana nel creato e vive in noi come realtà-in-formazione, mai definitive. Alcuni potrebbero leggere queste parole come una sorta di "condanna" all'eterno movimento ma, a ben guardare, esse vanno lette come il nostro "talento nel divenire", come la nostra capacità di essere al di là della certezza di essere già.
Sia chiaro, l'avere certezze è un dato positivo ma ciò che conta è nutrirle di dubbi, mai "totalizzando" ciò che siamo ma aprendoci al "possibile di noi", non separando ma integrando il "complesso della realtà" nel tempo e nello spazio e ri-congiungendo ciò che è disperso.
Ricercare è vivere, cercare sempre punti di sintesi, non limitandoci all'analisi. Tale processo, che troppo spesso "imprigioniamo" in ambiti particolari (la ricerca disciplinare), rappresenta l'agire complesso della persona, la ricerca dell'innovazione come ri-creazione di sé, come rottura delle certezze consolidate e come possibilità/potenzialità di abbracciare l'intera conoscenza in noi.
Siamo incerti e non possiamo fermarci a rincorrere l'eterno presente, come accade. Il male, infatti, non è la nostra incertezza ma la sua degenerazione che deriva dal nostro non accogliere la nostra stessa dinamicità, la nostra tensione all'oltre che già ci percorre. In quanto persone umane, siamo tempiterni e globali.
L'incertezza è parte fondamentale della condizione umana nel creato e vive in noi come realtà-in-formazione, mai definitive. Alcuni potrebbero leggere queste parole come una sorta di "condanna" all'eterno movimento ma, a ben guardare, esse vanno lette come il nostro "talento nel divenire", come la nostra capacità di essere al di là della certezza di essere già.
Sia chiaro, l'avere certezze è un dato positivo ma ciò che conta è nutrirle di dubbi, mai "totalizzando" ciò che siamo ma aprendoci al "possibile di noi", non separando ma integrando il "complesso della realtà" nel tempo e nello spazio e ri-congiungendo ciò che è disperso.
Chapeau, Francesco (Marco Emanuele, Formiche)
L'essenza dell'Amore è alla base di "Amoris Laetitia".
Comunque la pensiamo, "Amoris Laetitia" è un atto d'Amore. Francesco, lo dicevo in un'altra riflessione, è lo stratega del Vangelo, direi il Papa della realtà. L'Amore è atto, testimonianza, continua immersione in ogni realtà del mondo-della-vita; senza questo, ci sarebbero solo la intellettualizzazione o l'imprigionamento dei sentimenti che, come tali, sono come l'acqua, liberi e liberanti.
Da pensatore indisciplinato (definizione "rubata" a Edgar Morin), sento che porre l'Amore e la Misericordia al centro del nostro agire significa ritrovarci umani e questo è sempre più necessario in un mondo 2.0 che ha fatto del disumano la sua cifra.
In diversi hanno cercato di cogliere il senso di "Amoris Laetitia" ma per farlo ci vogliono anima, profondità di analisi, accoglimento di una radicalità progettuale, capacità di comprendere che Francesco è fuori dagli schemi classici degli intellettuali servi della degenerazione del '900. Bene ha fatto Alberto Melloni su la Repubblica di oggi a togliere la esortazione apostolica del Papa dalla contrapposizione tra conservatori e progressisti ma a collocarla come un qualcosa che, dico io, pone la Chiesa (popolo di Dio) e l'umanità di fronte alla immensa, e naturale, responsabilità per la ri-creazione storica dell'umano nel creato.
Vorrei dire che "Amoris Laetitia", da meditare, è un bellissimo messaggio per i laici, non un monito; noi laici, credenti e non credenti, dobbiamo ri-ascoltare la verità della realtà in noi e, solo così, potremo ritornare a sorridere nella nostra incertezza, ri-abbracciandola. E' nell'Amore, infatti, che le relazioni ritrovano il loro senso, la loro sacralità al di là dei riti e dentro la tempiternità-globalità delle nostre vite.
Chapeau, Francesco, testimone di realtà nell'oltre che già ci percorre.
http://formiche.net/2016/04/09/chapeau-francesco/
Comunque la pensiamo, "Amoris Laetitia" è un atto d'Amore. Francesco, lo dicevo in un'altra riflessione, è lo stratega del Vangelo, direi il Papa della realtà. L'Amore è atto, testimonianza, continua immersione in ogni realtà del mondo-della-vita; senza questo, ci sarebbero solo la intellettualizzazione o l'imprigionamento dei sentimenti che, come tali, sono come l'acqua, liberi e liberanti.
Da pensatore indisciplinato (definizione "rubata" a Edgar Morin), sento che porre l'Amore e la Misericordia al centro del nostro agire significa ritrovarci umani e questo è sempre più necessario in un mondo 2.0 che ha fatto del disumano la sua cifra.
In diversi hanno cercato di cogliere il senso di "Amoris Laetitia" ma per farlo ci vogliono anima, profondità di analisi, accoglimento di una radicalità progettuale, capacità di comprendere che Francesco è fuori dagli schemi classici degli intellettuali servi della degenerazione del '900. Bene ha fatto Alberto Melloni su la Repubblica di oggi a togliere la esortazione apostolica del Papa dalla contrapposizione tra conservatori e progressisti ma a collocarla come un qualcosa che, dico io, pone la Chiesa (popolo di Dio) e l'umanità di fronte alla immensa, e naturale, responsabilità per la ri-creazione storica dell'umano nel creato.
Vorrei dire che "Amoris Laetitia", da meditare, è un bellissimo messaggio per i laici, non un monito; noi laici, credenti e non credenti, dobbiamo ri-ascoltare la verità della realtà in noi e, solo così, potremo ritornare a sorridere nella nostra incertezza, ri-abbracciandola. E' nell'Amore, infatti, che le relazioni ritrovano il loro senso, la loro sacralità al di là dei riti e dentro la tempiternità-globalità delle nostre vite.
Chapeau, Francesco, testimone di realtà nell'oltre che già ci percorre.
http://formiche.net/2016/04/09/chapeau-francesco/
giovedì 7 aprile 2016
Il realismo di ciò che ci sembra impossibile (Marco Emanuele, Formiche)
Ci sembra impossibile, ma sembriamo rassegnati, il disumano trionfante. Altresì ci sembra impossibile, ma sembriamo incapaci di "volontà attiva", il rientrare nella "normalità" del progetto umano. Tutti noi, l'umanità, esistiamo (non viviamo) sospesi tra il (presunto) inevitabile di noi e un divenire che vorremmo ma che non percorriamo.
Ieri ponevo il tema dell'Amore come il tema strategico della nostra condizione umana; è un tema che accoglie in sé le complessità di ogni vita, che ci permette di aprire il nostro sguardo, la nostra ragione e il nostro cuore alla realtà di ciò che siamo, ri-attivando quelle "volontà positive" tanto necessarie alla nostra realizzazione-in-comune. E' su questo punto, in particolare, che l'Amore agisce; la competizione fine a sé stessa, infatti, insiste sulla realizzazione autoreferenziale di ciascuno ed è una realizzazione senza Amore, a-morale, che non ri-crea, anzi fa degenerare, il progetto umano. Competere senza maturare un senso della complessità di noi, di ogni altro DI noi e della realtà è correre senza meta.
La sfida non è tra ottimisti e pessimisti o tra innovatori e conservatori ma è tra realisti e presunti tali. Infatti, abbiamo infinite schiere di analisti che cercano di spiegarci il disumano (si chiami Daesh, terrorismo, "non cultura" tecnocratica o quant'altro) ma pochissimi, soprattutto tra gli intellettuali, che riescano a "fare sintesi", a guardare dentro la realtà per guardare oltre; solo "facendo sintesi", infatti, è possibile fare un passo in avanti, vivendo nel mondo e comprendendone le logiche, senza, necessariamente, diventarne schiavi.
L'Amore, parola che ci sembra impossibile e irreale, è invece la nostra unica possibilità. Nell'Amore c'è tutto: conoscenza, comprensione, mediazione, riconciliazione, riappropriazione, perdono, liberazione, realizzazione. L'Amore è rivoluzionario e potente al punto da essere la "realtà nascosta" che sconvolge, in positivo, le nostre certezze; ri-accogliamolo in noi, ne va della nostra salvezza come umanità, nella consapevolezza che, in questo tempo globalizzato, o ci salviamo tutti insieme o non si salva nessuno.
http://formiche.net/2016/04/08/il-realismo-di-cio-che-ci-sembra-impossibile/
Ieri ponevo il tema dell'Amore come il tema strategico della nostra condizione umana; è un tema che accoglie in sé le complessità di ogni vita, che ci permette di aprire il nostro sguardo, la nostra ragione e il nostro cuore alla realtà di ciò che siamo, ri-attivando quelle "volontà positive" tanto necessarie alla nostra realizzazione-in-comune. E' su questo punto, in particolare, che l'Amore agisce; la competizione fine a sé stessa, infatti, insiste sulla realizzazione autoreferenziale di ciascuno ed è una realizzazione senza Amore, a-morale, che non ri-crea, anzi fa degenerare, il progetto umano. Competere senza maturare un senso della complessità di noi, di ogni altro DI noi e della realtà è correre senza meta.
La sfida non è tra ottimisti e pessimisti o tra innovatori e conservatori ma è tra realisti e presunti tali. Infatti, abbiamo infinite schiere di analisti che cercano di spiegarci il disumano (si chiami Daesh, terrorismo, "non cultura" tecnocratica o quant'altro) ma pochissimi, soprattutto tra gli intellettuali, che riescano a "fare sintesi", a guardare dentro la realtà per guardare oltre; solo "facendo sintesi", infatti, è possibile fare un passo in avanti, vivendo nel mondo e comprendendone le logiche, senza, necessariamente, diventarne schiavi.
L'Amore, parola che ci sembra impossibile e irreale, è invece la nostra unica possibilità. Nell'Amore c'è tutto: conoscenza, comprensione, mediazione, riconciliazione, riappropriazione, perdono, liberazione, realizzazione. L'Amore è rivoluzionario e potente al punto da essere la "realtà nascosta" che sconvolge, in positivo, le nostre certezze; ri-accogliamolo in noi, ne va della nostra salvezza come umanità, nella consapevolezza che, in questo tempo globalizzato, o ci salviamo tutti insieme o non si salva nessuno.
http://formiche.net/2016/04/08/il-realismo-di-cio-che-ci-sembra-impossibile/
Nel mondo, l'Amore (Marco Emanuele, Formiche)
Beate siano le contraddizioni e i dubbi, le nostre complessità, le differenze che fatichiamo a comprendere ma che ci appartengono. Beato sia tutto ciò che ci aiuta a uscire da noi, per ritrovarci pienamente; e si tratta, senza voler essere blasfemo, di una "beatitudine terrena", la ri-scoperta della trascendenza di noi, in noi e in ogni altro DI noi.
L'Amore, che scrivo con la maiuscola a sottolinearne il valore strategico e non limitabile in formalismi umani del tutto dannosi, è l'alimento fondamentale del nostro essere e del nostro convivere. Tutt'altro che in termini romantici, parlare di Amore significa volere, fortissimamente volere, che la "misericordia storica" ritorni a dare un senso alla nostra capacità di mediazione (oggi ridotta a compromesso) dei rapporti di forza e degli interessi particolari (non eliminabili dal palcoscenico della storia) e alla nostra volontà di libertà come liberazione (circolo virtuoso).
L'Amore, dunque, è la cornice che si fa contenuto, visione d'insieme del mosaico meraviglioso della vita-che-evolve; nell'Amore non può esserci condanna o discriminazione ma solo condivisione. Chiunque tenti di guardare all'Amore in termini limitanti (separando ciò che si ritiene sia Amore da ciò che si ritiene non lo sia) è, semplicisticamente, prigioniero di una idea totalitaria.
L'Amore è la forza della sintesi di tempiternità e globalità in ogni istante di ogni vita, in un mondo ricco soltanto di analisi; tornare all'Amore significa rompere le catene della certezza ad ogni costo e, progressivamente, ritornare a bruciarci nel sacro fuoco del progetto umano che è tutto Amore da abbracciare.
http://formiche.net/2016/04/07/nel-mondo-lamore/
L'Amore, che scrivo con la maiuscola a sottolinearne il valore strategico e non limitabile in formalismi umani del tutto dannosi, è l'alimento fondamentale del nostro essere e del nostro convivere. Tutt'altro che in termini romantici, parlare di Amore significa volere, fortissimamente volere, che la "misericordia storica" ritorni a dare un senso alla nostra capacità di mediazione (oggi ridotta a compromesso) dei rapporti di forza e degli interessi particolari (non eliminabili dal palcoscenico della storia) e alla nostra volontà di libertà come liberazione (circolo virtuoso).
L'Amore, dunque, è la cornice che si fa contenuto, visione d'insieme del mosaico meraviglioso della vita-che-evolve; nell'Amore non può esserci condanna o discriminazione ma solo condivisione. Chiunque tenti di guardare all'Amore in termini limitanti (separando ciò che si ritiene sia Amore da ciò che si ritiene non lo sia) è, semplicisticamente, prigioniero di una idea totalitaria.
L'Amore è la forza della sintesi di tempiternità e globalità in ogni istante di ogni vita, in un mondo ricco soltanto di analisi; tornare all'Amore significa rompere le catene della certezza ad ogni costo e, progressivamente, ritornare a bruciarci nel sacro fuoco del progetto umano che è tutto Amore da abbracciare.
http://formiche.net/2016/04/07/nel-mondo-lamore/
mercoledì 6 aprile 2016
Intellettuali, segni dei tempi, complessità (Marco Emanuele, Formiche)
Papa Francesco continua a testimoniare i "segni nei tempi" nei "segni dei tempi". In fondo, è ciò che dovrebbe fare ogni intellettuale, cercatore della verità e ricercatore in essa, non solo comodo consigliere del principe di turno.
Eppure il mondo nel quale ci limitiamo a esistere non ci sta insegnando la necessità di essere, in quanto persone umane, degli "intellettuali globali". Il primo passo è la re-integrazione in noi dei "segni dei tempi", il ri-comprendere in noi la complessità di ciò che siamo, il ri-ascoltare la dinamica verità della realtà.
La complessità deve ritornare a essere la musica per le nostre orecchie, calandoci nelle profondità (luci e ombre) della nostra condizione umana nel creato. In più, dobbiamo maturare insieme un "metodo complesso", per natura transdisciplinare, di analisi dei fenomeni storici; dobbiamo abbandonare la certezza del nostro sguardo limitato e limitante, ri-attivando circuiti virtuosi di conoscenza, al di là dell'informazione indistinta e dominante.
Abbiamo di fronte a noi praterie di "senso possibile" che non percorriamo, impauriti e bisognosi di una sicurezza che nasce dal nostro distacco dalla realtà dei mondi-della-vita. Possiamo dirci liberi se esistiamo nella irrealtà delle nostre convinzioni competitive ? Possiamo dirci liberi se rincorriamo solo le risposte, non ponendoci più le domande fondamentali ? Come possiamo riprenderci la nostra umanità nel terzo millennio globalizzato del disumano trionfante ?
E' venuto il tempo di rinnovati pensieri strategici per un'azione politica capace di illuminare la realtà con visioni progettuali di conoscenza e di convivenza.
http://formiche.net/2016/04/06/intellettuali-segni-dei-tempi-complessita/
Eppure il mondo nel quale ci limitiamo a esistere non ci sta insegnando la necessità di essere, in quanto persone umane, degli "intellettuali globali". Il primo passo è la re-integrazione in noi dei "segni dei tempi", il ri-comprendere in noi la complessità di ciò che siamo, il ri-ascoltare la dinamica verità della realtà.
La complessità deve ritornare a essere la musica per le nostre orecchie, calandoci nelle profondità (luci e ombre) della nostra condizione umana nel creato. In più, dobbiamo maturare insieme un "metodo complesso", per natura transdisciplinare, di analisi dei fenomeni storici; dobbiamo abbandonare la certezza del nostro sguardo limitato e limitante, ri-attivando circuiti virtuosi di conoscenza, al di là dell'informazione indistinta e dominante.
Abbiamo di fronte a noi praterie di "senso possibile" che non percorriamo, impauriti e bisognosi di una sicurezza che nasce dal nostro distacco dalla realtà dei mondi-della-vita. Possiamo dirci liberi se esistiamo nella irrealtà delle nostre convinzioni competitive ? Possiamo dirci liberi se rincorriamo solo le risposte, non ponendoci più le domande fondamentali ? Come possiamo riprenderci la nostra umanità nel terzo millennio globalizzato del disumano trionfante ?
E' venuto il tempo di rinnovati pensieri strategici per un'azione politica capace di illuminare la realtà con visioni progettuali di conoscenza e di convivenza.
http://formiche.net/2016/04/06/intellettuali-segni-dei-tempi-complessita/
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