lunedì 29 febbraio 2016

La cultura del giudizio storico è cultura del dubbio (Marco Emanuele)

La cultura del giudizio storico è cultura del dubbio; infatti, giudica unicamente chi ricerca nella conoscenza. Quest'ultima è un percorso "in progress" e mai può dirsi esaurito; la conoscenza è innovazione perché problematizza ciò che conosciamo, de-dogmatizza le certezze; è nella conoscenza che possiamo riscoprirci, vivendo, progettanti perché incerti.

Il bello della conoscenza è nella sua "non imminenza"; solo i "pre-giudicanti" possono pensare che essere informati (soprattutto oggi, dove  facciamo fatica, per sovrabbondanza, a distinguere le informazioni "utili") significhi conoscere. E' venuto il tempo di recuperare il nostro essere "trascendenti" nella conoscenza, a sua volta trascendente perché guarda oltre ciò che si vede, oltre la superficialità, accogliendo e affrontando il rischio della profondità dei processi storici vitali, prima di tutto dei nostri interiori.

E' il dubbio che ci permette di conoscere, al di là dell' "eterno presente". Se tutto fosse conosciuto, infatti, non avrebbe senso la nostra presenza sulla Terra e non avrebbero senso le infinite differenze che compongono il mosaico dell'umanità nel creato.

Oggi esistiamo in un evidente corto-circuito; è come se ci fossimo convinti che la "realtà secondo pochi" è la realtà in quanto tale per tutti, se pensassimo - come alcuni continuano a fare - che c'è un centro della storia da cui tutto promana e non, invece, una infinità polarità che ci vincola a una responsabilità nella complessità.



Non cultura del non progetto (Marco Emanuele)

Avvolti nella "non cultura del non progetto", siamo individui naviganti senza direzione nel grande mare della competizione. Ci sfugge l'idea di civiltà mentre abbiamo ben presente, e pratichiamo, l'idea di civilizzazione; impostiamo "modelli" irreali, nel senso che sono immaginati al di là dei processi storici vitali (fondati sul pre-giudizio e pregiudicanti la "giusta" evoluzione delle realtà umane), applicati in maniera indiscriminata, esportati come "verità rivelate" e, come tali, non discutibili e non problematizzabili.

Alla prova della realtà, i nostri pre-giudizi si rivelano molto spesso inesistenti ma, altrettanto spesso, si rivelano assai duri a morire; se fossimo consapevoli di avere il talento del giudizio storico saremmo sulla strada del superamento dell'idea totalitaria che, a ben guardare, gode di ottima salute. Oggi, infatti, siamo individui "a-realistici" e paralleli alla realtà, impauriti dal rischio di discutere le nostre certezze; siamo, sostanzialmente, "non persone". Mi soffermo un istante su questa definizione; "non persone" sono sia coloro, una grande parte dell'umanità, che non arrivano a vivere il senso di umanità (per ragioni materiali e non) sia coloro (tra i quali noi) che, pur appartenendo alla parte di mondo cosiddetto "sviluppato", sono - spesso inconsapevolmente - carnefici e vittime dell'ansia da omologazione, vittime del loro stesso (e presunto) "bene assoluto".

La "non cultura del non progetto" è la negazione della profondità dei processi storici vitali, è la vittoria della superficialità che ci rende irresponsabili, non facendoci vivere la complessità naturale di ciò che siamo e della verità dinamica della realtà umana nel creato.




L'abitudine globalizzata al "pre-giudizio" (Marco Emanuele)

L'abitudine globalizzata al "pre-giudizio" è la cifra di questo terzo millennio della competizione e dell'imminenza. Ci illudiamo di poter vivere senza conoscere, senza avere l'occhio antropologico, filosofico, politico, complesso sulle realtà che evolvono; volentieri semplifichiamo e separiamo, prigionieri nell'illusione delle nostre certezze.

Il mondo nel quale ci limitiamo ad esistere è "non governato" da una "politica dimenticata" che continua a volerci far credere nella inevitabilità della "guerra permanente"; come dire, non è importante conoscere ma è fondamentale assolutizzare le nostre impressioni, i nostri punti di vista, elevando a verità dogmatiche quelle che sono soltanto opinioni.

La conseguenza dell'abitudine globalizzata al "pre-giudizio" è che assistiamo a continue "reazioni internazionali" e che, dopo il crollo dei punti di riferimento novecenteschi, non riusciamo a immaginare visioni di società nella "liquidità" dell'eterno presente; tanto vale, allora, rassegnarci a seguire la corrente, costruirci dei nemici, inventare scontri fra civiltà, negare "nei fatti" il diritto alla vita per ogni differenza che contribuire a formare il meraviglioso mosaico dinamico dell'umanità nel creato.

Chi scrive, evidentemente, pensa che il "pre-giudizio" vada superato, che ci voglia una "cultura della conoscenza" che ci aiuti a ritrovare la libertà e la responsabilità nei processi vitali che, volenti o nolenti, sfuggono alle nostre abitudini "omologanti" e "performanti".




domenica 28 febbraio 2016

Il "giudizio" che ci portiamo dentro (Marco Emanuele)

Nella nebbiosa e profonda provincia piemontese, più di trent'anni fa, una nonna già vecchia parlava a un giovane adolescente, dicendogli: "usa il giudizio", "fai le cose con giudizio". In quella campagna triste e un pò ipocrita, la vecchia nonna trasmetteva una sorta di "verità popolare" e l'adolescente la guardava smarrito, annoiato, scocciato. Quell'adolescente ero io.

Con il passare degli anni, ho ripensato a quelle parole sul "giudizio" e l'ho interpretato come cura e senso del limite. La vecchia nonna aveva capito tutto; se abbiamo cura di non crederci onnipotenti, di non pensarci come il "bene assoluto" (una sorta di dio che nega quello vero, posto che esista) che sconfigge il male, di essere "naturalmente" incerti, il nostro comportamento non può che essere "relativo", cioè aperto all'altro, cooperativo, libero.

Mia nonna non aveva studiato filosofia ma vi possono essere anche dei "filosofi inconsapevoli".

Ci portiamo dentro il "talento del giudizio" ma, come la realtà dimostra, troppo spesso lo soffochiamo nell'altrettanto umano "pre-giudizio". Ho in mente il titolo di un giornale di qualche mese fa, "Bastardi islamici"; ci dispiace che quel giornalista non abbia avuto una nonna come la mia o, se l'ha avuta, che l'abbia "venduta" al miglior offerente. In sostanza, nell'era della competizione e del successo imminente, il "pre-giudizio" paga.

Il pre-giudizio è la prima forma di corruzione (Marco Emanuele)

Il pre-giudizio è la prima forma di corruzione. Non ce ne rendiamo conto immediatamente ma, pre-giudicando, svuotiamo di senso l'oggetto o il soggetto del nostro pre-giudicare e, allo stesso tempo, corrompiamo noi che pre-giudichiamo perché non conosciamo e corrompiamo la realtà che ci riguarda e che ci circonda, privandola di quella globalità che dovrebbe essere la "ragione prima" della nostra conoscenza.

Nell'atto del pre-giudicare, allora, avviamo quello che potremmo definire un "circolo vizioso di inciviltà", facendo arretrare la civiltà e imponendo una "civilizzazione" che altro non è se non l'assolutizzazione di un qualche "punto di vista"; ben si comprende che, in questo, vi è il fondamento del dominio, della modellizzazione globalizzata che "prescinde" dalle complessità dei mondi-della-vita che, in ragione del nostro pre-giudizio, semplicemente non esistono o che, se esistono, non hanno valore in quanto le consideriamo degli errori da correggere (in questo caso, intendendo la parola errore nel significato di peccato o di reato).

Pertanto, dovremmo riflettere meglio ogni qual volta parliamo con certezza di temi o di persone che non conosciamo. E la soluzione è una sola; ritornare a studiare. Che è, poi, il ritornare a vivere.

Sfruttare pedagogicamente i difetti di Internet (Umberto Eco)

(...) ritengo che esista un modo molto efficace di sfruttare pedagogicamente i difetti di Internet. Si dia come esercizio in classe, ricerca a casa o tesina universitaria, il seguente tema: "Trovare sull'argomento X una serie di trattazioni inattendibili a disposizione su Internet, e spiegare perché sono inattendibili". Ecco una ricerca che richiede capacità critica e abilità nel confrontare fonti diverse - e che eserciterebbe gli studenti nell'arte della discriminazione" (Umberto Eco, Pape Satàn Aleppe)

Pre-giudichiamo (Marco Emanuele)

Pre-giudichiamo chi e ciò che non conosciamo. Il pre-giudizio è sia il nostro atteggiamento "non conoscente" che l'effetto prodotto da tale atteggiamento e che pregiudica la verità del reale, di ciò che incontriamo. Possiamo dire che, attraverso il pre-giudizio, ci poniano in maniera errata nei confronti della realtà e facciamo degenerare la realtà stessa.

Il pre-giudizio è la prima forma di corruzione, è superficiale e semplificante. Molto spesso il pre-giudizio nasce dalla paura che abbiamo di conoscere perché conoscere è sempre un "rischio", è la problematizzazione delle nostre certezze.

Se guardiamo alla realtà, il pre-giudizio è molto diffuso e duro a morire; oggi il pre-giudizio si fa informazione, ci inonda e ci condiziona. Troppo spesso non riflettiamo sui danni prodotti dal pre-giudizio e, anzi, insistiamo nel proporlo come chiave di lettura della realtà e, molto spesso, come soluzione ai problemi complessi.

Per tentare di vincere il pre-giudizio ci vuole un pensiero auto-critico, critico, libero, complesso. Nulla è come appare e, dal livello intra-personale e quello globale, il pre-giudizio va sconfitto uscendo dal circolo vizioso di una competizione che ci rende sempre più "primitivi" e "disumani".

Tecnica della selezione delle notizie in linea (Umberto Eco)

(...) da tempo sostengo che la nuova fondamentale materia da insegnare a scuola dovrebbe essere una tecnica della selezione delle notizie in linea - salvo che si tratta di un'arte difficile da insegnare perché spesso gli insegnanti sono tanto indifesi quanto i loro studenti. (Umberto Eco, Pape Satàn Aleppe)

Disordine mentale (Umberto Eco)

Se i ragazzi non imparano questo, che la cultura non è accumulo, ma discriminazione, non c'è educazione, bensì disordine mentale (Umberto Eco, Pape Satàn Aleppe)

Riscoprirci umani, conoscendo (Marco Emanuele)

Avere "giudizio storico" è una responsabilità, non una scelta. Si tratta di mettere il naso fuori dalle nostre certezze e di riscoprire l'incertezza di ciò che siamo.  Fra i tanti, c'è uno scontro in atto nella realtà che mi colpisce molto: è quello fra la dinamicità della realtà (e delle realtà che evolvono) e la "certezza" delle nostre convinzioni consolidate. Convinzioni che ci portano soltanto ad alzare muri, a dividerci dalla realtà, contribuendo a far degenerare ulteriormente una convivenza umana pericolosamente percorsa da un disumano trionfante.

Il primo passo verso la civiltà, per noi "progrediti primitivi", è di recuperare la responsabilità del "giudizio storico" che, a ben guardare, è l'antidoto naturale al pre-giudizio, giudizio senza conoscenza.

Maestri di superficialità, manchiamo di profondità. Abbiamo paura di percorrere l'oltre che già ci percorre ma, allo stesso tempo, l'oltre è il luogo della nostra umanità. La sfida del "giudizio storico" è tutta qui: nel riscoprici umani, conoscendo.