La cultura del giudizio storico è cultura del dubbio; infatti, giudica unicamente chi ricerca nella conoscenza. Quest'ultima è un percorso "in progress" e mai può dirsi esaurito; la conoscenza è innovazione perché problematizza ciò che conosciamo, de-dogmatizza le certezze; è nella conoscenza che possiamo riscoprirci, vivendo, progettanti perché incerti.
Il bello della conoscenza è nella sua "non imminenza"; solo i "pre-giudicanti" possono pensare che essere informati (soprattutto oggi, dove facciamo fatica, per sovrabbondanza, a distinguere le informazioni "utili") significhi conoscere. E' venuto il tempo di recuperare il nostro essere "trascendenti" nella conoscenza, a sua volta trascendente perché guarda oltre ciò che si vede, oltre la superficialità, accogliendo e affrontando il rischio della profondità dei processi storici vitali, prima di tutto dei nostri interiori.
E' il dubbio che ci permette di conoscere, al di là dell' "eterno presente". Se tutto fosse conosciuto, infatti, non avrebbe senso la nostra presenza sulla Terra e non avrebbero senso le infinite differenze che compongono il mosaico dell'umanità nel creato.
Oggi esistiamo in un evidente corto-circuito; è come se ci fossimo convinti che la "realtà secondo pochi" è la realtà in quanto tale per tutti, se pensassimo - come alcuni continuano a fare - che c'è un centro della storia da cui tutto promana e non, invece, una infinità polarità che ci vincola a una responsabilità nella complessità.
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