Avvolti nella "non cultura del non progetto", siamo individui naviganti senza direzione nel grande mare della competizione. Ci sfugge l'idea di civiltà mentre abbiamo ben presente, e pratichiamo, l'idea di civilizzazione; impostiamo "modelli" irreali, nel senso che sono immaginati al di là dei processi storici vitali (fondati sul pre-giudizio e pregiudicanti la "giusta" evoluzione delle realtà umane), applicati in maniera indiscriminata, esportati come "verità rivelate" e, come tali, non discutibili e non problematizzabili.
Alla prova della realtà, i nostri pre-giudizi si rivelano molto spesso inesistenti ma, altrettanto spesso, si rivelano assai duri a morire; se fossimo consapevoli di avere il talento del giudizio storico saremmo sulla strada del superamento dell'idea totalitaria che, a ben guardare, gode di ottima salute. Oggi, infatti, siamo individui "a-realistici" e paralleli alla realtà, impauriti dal rischio di discutere le nostre certezze; siamo, sostanzialmente, "non persone". Mi soffermo un istante su questa definizione; "non persone" sono sia coloro, una grande parte dell'umanità, che non arrivano a vivere il senso di umanità (per ragioni materiali e non) sia coloro (tra i quali noi) che, pur appartenendo alla parte di mondo cosiddetto "sviluppato", sono - spesso inconsapevolmente - carnefici e vittime dell'ansia da omologazione, vittime del loro stesso (e presunto) "bene assoluto".
La "non cultura del non progetto" è la negazione della profondità dei processi storici vitali, è la vittoria della superficialità che ci rende irresponsabili, non facendoci vivere la complessità naturale di ciò che siamo e della verità dinamica della realtà umana nel creato.
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