Ciò che sta accadendo in Brasile e in America Latina, in relazione alle grandi inchieste sulla corruzione, pone - a mia valutazione - un problema più grande che riguarda il governo e la sostenibilità dei sistemi democratici. Certo, c'è la questione del "senso" della separazione dei poteri (fatto formalistico o sostanziale ?); Moises Naim, nel suo articolo su la Repubblica di oggi (Il mito di Lula finisce nella polvere), si augura che il giudice federale Moro, in Brasile, si limiti a fare il suo lavoro e non segua le orme del collega italiano Di Pietro, "senza usare popolarità e simpatia per riempire il vuoto politico che le sue inchieste stanno creando". In secondo luogo, c'è la questione di classi politiche e di partiti che, ormai in molti contesti, non sembrano più in grado di rinnovarsi se non per via giudiziaria e che non sembrano più avere la capacità di essere fucine di "classi dirigenti". In sostanza, la riflessione sul rapporto fra corruzione e democrazia va inserita nel contesto più ampio del ripensamento per la rifondazione della democrazia stessa, e della politica.
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