Nelle società aperte, la complessità aumenta. Per questa ragione, l'approccio lineare e separante al quale siamo abituati è controproducente sia nel senso che non ci aiuta a conoscere per comprendere le realtà in evoluzione sia perché fa degenerare le realtà stesse e la realtà globale.
Nell' approccio lineare, la certezza trionfa e ci rende profondamente precari. Infatti, a cosa servono i nostri modelli consolidati nella comprensione e nel governo di un mondo immerso nella "guerra mondiale a pezzi" ? Come le categorie della politica, dell'economia, del diritto, come i governi e le diplomazie stanno rispondendo all'innalzarsi del livello di crudeltà che ci circonda, alla strumentalizzazione del dato religioso, alle difficoltà di costruire una convivenza degna dell'umanità in città che sono "giungle non governate", al diffondersi sempre crescente dell'idea totalitaria (e Daesh ne è solo un esempio, forse il più drammatico) ? Le società aperte, che offrono infinite possibilità di cooperazione globale, stanno diventando primitive e auto-referenziali realtà non dialoganti eppure percorse dai flussi del mondo in ogni territorio.
Ciò che manca, con grande evidenza, è la capacità di governo politico della globalizzazione e delle infinite differenze che la caratterizzano, oggi non valorizzate e, anzi, negate dalla nostra incapacità di cogliere e di accogliere la complessità di ciò che siamo. Tale operazione di "omologazione globalizzata" nega la verità della realtà e ci porta, nella illusione dello sviluppo infinito, a rottamare tutto ciò che non corrisponde al "presunto nuovo" e che, invece, appartiene a una esperienza alla quale non possiamo sfuggire. Siamo in ragione di ciò che siamo stati e, se la storia non è maestra di vita, essa inevitabilmente condiziona la sostenibilità del presente e la costruzione del futuro, al di là di ciò che pensano i dominanti, competitivi di professione.
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