Apprezzo quei commentatori, come Mieli sul Corriere della Sera di oggi (La missione e i suoi pericoli), che mostrano la complessità di una possibile missione in Libia. Ebbene, il realismo è d'obbligo. Parlerei più di consapevolezza strategica, legata soprattutto al dopo; la storia potrebbe informarci (se non insegnarci) che i troppi errori commessi in nome della democrazia e della libertà fanno dell' "occidente" più un complice della degenerazione globalizzata (guerra mondiale a capitoli) che non un "salvatore". Il monito è chiaro: non scherziamo con un fuoco con il quale già ci siamo bruciati.
Mieli conclude il suo editoriale elencando alcuni punti di riflessione: 1) le "autentiche catastrofi" provocate dalle guerre combattute dall'Occidente dalla caduta del muro di Berlino ad oggi; 2) andiamo nella nostra ex colonia in rottura con Haftar, protetto dall'Egitto. Dopo il caso Regeni, i rapporti con il Cairo non sono tra i migliori; 3) quale deve essere "la meta di questo tragitto da compiere in armi" ?; 4) l'auspicio che la missione sia definita per quella che è, di guerra, senza nasconderla dietro ai "neologismi eufemistici con i quali noi e non solo noi abbiamo sempre battezzato le imprese militari".
Aggiungo una riflessione. Dal punto di vista culturale, come ho già scritto, abbiamo la responsabilità di guardare oltre la Libia; che ne sarà dell'area mediterranea e mediorientale "allargata" ? Ma questo è un altro film, necessario da vedere, che non riguarda la cronaca dei nostri giorni ma il nostro impegno (di intellettuali auto-critici, critici e liberi) dei prossimi mesi e dei prossimi anni.
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