Chiunque abbia un minimo di sensibilità verso ciò che è umano si rende conto della insostenibilità di un sistema globalizzato non guidato politicamente ma alimentato da una “non cultura” tecnocratica che ha fatto della certezza il suo mantra.
Per quanto possa apparire banale e acquisito, parlare di persona umana è una svolta strategica. E’ la persona umana, e il suo “mistero storico”, che ci mette di fronte alla sfida della complessità. Guardare il mondo a partire dalla persona significa ripensare tutti i nostri paradigmi interpretativi della realtà, anzitutto rivalutando l’incertezza come fondamento del nostro essere e del nostro “essere insieme”.
Abbiamo bisogno di “resettare” ciò che abbiamo costruito come sovrastruttura dell’esistere e che cancella, progressivamente, i fondamenti del vivere. In sostanza, esistiamo ma non viviamo.
Nella persona umana, in ciascuno di noi, c’è la realtà “che è” e che ciascuno incarna in maniera unica e irripetibile. Da questo discende il valore della “differenza” che non è diversità ma la globalità che si fa in noi.
La domanda iniziale si colloca nel quadro del nostro “eterno presente” nel quale la “liquidità”, come un’alluvione di senso, tutto travolge e tutto omologa in nome di uno sviluppo senza tempi e senza spazi; ma i tempi e gli spazi della vita, quelli veri, si ribellano e cercano una loro dignità. Da qui, realisticamente, discende il clima di “guerra permanente a capitoli” nel quale siamo immersi.
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